mercoledì 20 agosto 2008
Low cost in avaria
Dopo il boom iniziale le compagnie a basso costo devono fare i conti con la crisi economica. La ristrutturazione è già partita tra fallimenti e fusioni. E solo una decina di società riuscirà a salvarsi
Il prezzo del petrolio spezza le ali alle compagnie aeree e allarga la ferita aperta dall'onda lunga della crisi economica globale. Tra anatemi e tragiche previsioni, il trasporto aereo si prepara a una profonda ristrutturazione per uscire dalla 'tormenta perfetta' (secondo la definizione della Iata, l'Associazione internazionale del trasporto aereo) nella quale si trova immerso.
Un fenomeno che riguarda sia le compagnie di bandiera sia le low cost, entrate in un periodo di turbolenza dopo anni di incredibile boom e pronte a una robusta ristrutturazione.
Cominciando dal settore più in generale, secondo Giovanni Bisignani, consigliere delegato della Iata, "l'industria passa attraverso una inusuale crisi di costi crescenti e caduta della domanda. Le perdite potrebbero raggiungere i 6,1 miliardi di euro e la situazione sarà ancora più dura l'anno prossimo". D'altronde, "quando l'incidenza del combustibile sui costi passa dal 13 al 36 per cento in un paio d'anni, l'intero settore deve cambiare".
Tra ottobre e dicembre il numero di voli cadrà del 7 per cento (che in termini di posti per i passeggeri significherà circa 60 milioni in meno); 30 mila posti di lavoro resteranno in bilico; 482 aerei (il 3 per cento dei 15 mila che compongono la flotta mondiale) rimarranno a terra fino a quando l'equilibrio del mercato riprenderà quota. Il colpo più duro lo riceverà il mercato statunitense, che sarà la principale vittima, con una diminuzione dell'offerta di 20 milioni di posti aerei.
E in Europa? Secondo il londinese 'The Times', 50 compagnie avranno seri problemi finanziari. Tra le maggiori, la scandinava Sas, la greca Olympic, l'ungherese Malev, la polacca Lot sono in bilico tra la vita e la scomparsa, insieme a compagnie britanniche minori come Bmi o Monarch. Per non parlare di Alitalia.
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Se questo è lo scenario complessivo della sfida nei cieli, le difficoltà iniziate tra le compagnie low cost meritano un'attenzione particolare. Prima di tutto i dati più recenti. La numero uno Ryanair ha annunciato una frenata degli utili dell'85 per cento rispetto al 2007 e il dato risulta ancora più clamoroso perché, per la prima volta nell'era O'Leary, il vulcanico ceo della compagnia, la società irlandese probabilmente chiuderà l'anno con i conti in rosso.
Finita l'estate, quando la domanda di voli si farà più tranquilla, 20 aerei rimarranno a terra, riducendo del 10 per cento la capacità della compagnia. Molte rotte, soprattutto dallo scalo londinese di Stansted, verranno tagliate. La sospensione coinvolgerà in primo luogo gli scali di Austria, Polonia, Spagna, Svizzera e Ungheria.
Anche la tedesca Germanwings, figlioccia di Lufthansa, lascerà a terra quattro dei suoi 29 aerei. La Skyeurope, la low cost di bandiera slovacca, cancellerà tutti i voli più lunghi verso Dublino, Cork e Birmingham.
È bastato l'annuncio della frenata della low cost numero uno per risvegliare ancora una domanda ricorrente: la crisi porrà fine al modello low cost? Secondo Willie Walsh, ceo della British Airways, ovviamente sì. Secondo O'Leary, il risultato della crisi sarà esattamente l'opposto, ossia ad avere la peggio sulle rotte europee saranno le compagnie tradizionali. "Se il prezzo del petrolio scende sotto i 130 dollari potremmo chiudere l'anno con i conti in pareggio. Quando il prezzo si abbasserà, i problemi per noi saranno praticamente finiti. Non registriamo nessuna crisi di domanda; anzi, i nostri passeggeri sono aumentati del 19 per cento rispetto al 2007. Attualmente i dati finanziari negativi sono dovuti alla nostra filosofia di assorbire i costi del carburante per mantenere basse le tariffe", assicura O'Leary.
E la difesa d'ufficio prosegue: "La crisi attuale non darà il colpo di grazia alle low cost; i passeggeri saranno sempre più attratti dai prezzi bassi che offriamo, soprattutto in un momento di difficoltà economica generale. I nostri voli short haul, a corto raggio, possono sopportare milioni di biglietti a prezzi bassi, mentre chi opera soprattutto sul lungo raggio, come le compagnie di bandiera, non avrà grandi margini per abbassare i costi e questo genererà il continuo declino dei loro conti nel prossimo inverno. Ryanair continuerà senza dubbio con la sua politica di prezzi bassi".
Nei momenti di crisi le low cost sono sempre riuscite a resistere, almeno fino a oggi. La logica che muove la filosofia low cost è cinica e spietata: sin dallo start up, l'azienda è costruita per essere dinamica e reattiva, con una filiera concepita per avere il minimo dei costi possibili. Nei momenti più difficili le low cost più sane e robuste vanno sempre al rilancio, comprando nuovi aerei, iniettando nel mercato milioni di biglietti a basso costo volti a destabilizzare gli avversari, e aspettando l'agonia e la scomparsa delle compagnie (low cost e non) più deboli per accaparrarsi nuove fette di mercato ed espandersi continuamente.
Questa è la ragione di fondo per cui in 15 anni le low cost in Europa sono passate da sconosciute a leader, accaparrandosi in media il 30 per cento del mercato, con punte del 50 in Spagna e Regno Unito. Easyjet nel 2001, all'indomani dell'attentato di New York, registrò il doppio dei profitti: "È triste dirlo, ma noi dall'11 settembre ci abbiamo guadagnato", assicura il fondatore della low cost EasyJet, Stelios Haji-Ioannou. All'epoca, in poco tempo scomparvero di colpo Buzz (gruppo Klm) e la Go (British Airways). Nella crisi attuale la dinamica sarà la stessa: le compagnie più piccole, più fragili, meno dinamiche, meno aggressive, strategicamente meno libere, finiranno nel baratro.
Se il prezzo del petrolio aumenterà, forse rimarranno EasyJet e Ryanair, magari in compagnia della nuova società sorta tra la fusione Clickair-Vueling e poche altre. Le tre citate sono anche tra le poche quotate in Borsa e nell'ultimo anno i titoli hanno perso parecchio terreno, recuperando qualcosa nelle scorse settimane, forse anche per l'inversione di tendenza fatta registrare dal prezzo del petrolio. Per ora in Europa di low cost se ne contano più di 30, ma quelle con prospettiva di crescita non arrivano alla decina.
Nelle crisi precedenti, come nel '91, l'instabilità dovuta alla guerra del Golfo spinse le compagnie a strategie difensive. Le aerolinee di bandiera bussarono alle casse statali. Ryanair imparò invece la filosofia a basso costo dalla low cost statunitense Southwest. Anche stavolta la strategia delle low cost non sembra cambiare. La Wizz air investirà nei prossimi tre anni 100 milioni di euro per la nuova base operativa di Timisoara, in Romania, e irrobustirà la flotta con tre nuovi Airbus 320.
La Ryanair si lancia a lungo termine all'acquisto di 400 aerei ("Visto che con il prezzo del dollaro così basso ci costeranno molto meno", come ha spiegato O'Leary alla 'Sueddeutsche Zeitung'). Inoltre mette sul piatto 2,5 miliardi di euro per comprare l'aeroporto di Stansted.
In Italia le low cost sono piccole e subiscono la forte concorrenza degli stranieri, a partire dalla Ryanair. Sembrano però voler dare un'immagine stabile, sicura. Anche loro rilanciano. La siciliana Windjet assicura: "Non cancelleremo voli e rotte, per ora; anzi, annunciamo nuove destinazioni a novembre da Forlì verso l'Est europeo". A dirlo è il portavoce Enrico Lepri, che continua: "Quest'anno sono incrementati i passeggeri e sappiamo che la crisi potrà arrivare anche da noi se il prezzo del carburante si manterrà alto. La speranza è che il barile torni su livelli più normali".
Anche dalla low cost varesina MyAir sembra non esserci allarme. "Si dovrebbero preoccupare più le compagnie tradizionali piuttosto che le low cost, visto che il differenziale dei costi ci avvantaggia rispetto ai big. Le low cost si espanderanno, conquistando ancora più il mercato, soprattutto le maggiori come Ryanair", commenta il comandante Vincenzo Soddu, fondatore del modello a basso costo italiano e vicepresidente della Myair: "In Italia si continua a infierire sulle low cost per sviare l'attenzione dal problema principale, che è la situazione dell'Alitalia. Il mercato italiano è drogato, esistono figli e figliastri, e gli aiuti alla compagnia di bandiera servono per abbattere le tariffe".
Secondo Soddu, "se le low cost italiane scomparissero, i passeggeri sarebbero nuovamente costretti a pagare cifre eccessive per volare. Chiedete cosa ne pensa chi viveva in Sardegna ai tempi del duopolio Meridiana-Alitalia". La preoccupazione si allarga all'indotto dell'aviazione civile e soprattutto agli aeroporti. Anche loro in crisi.
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di Emanuele Giusto
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